ARCHIVIO RENZO ROSSOTTI

Dall’Archivio di Renzo Rossotti Vittorio Veneto è fra le maggiori piazze torinesi, da taluni giudicata perlopiù una “spianata”, per la sua vastità, ma anche invidiata per la sua posizione che la pone come immenso balcone affacciato sul verde della collina. Nel quartiere Centro Est, da via Po e dal ponte intitolato Vittorio Emanuele I, alla confluenza delle strade laterali, alcune appartenenti alla Torino più antica e aristocratica: le vie Giulia di Barolo, Vanchiglia, Bava, Bonafous, Della Rocca. Un tempo la piazza era intitolata a Vittorio Emanuele I, del quale rimase la statua davanti al grande tempio che ha dato nome alla piazza oltre il Po, Gran Madre di Dio, e la titolazione al ponte che attraversa il fiume. Le fu dato il nome di Vittorio Veneto nel 1919 volendo onorare la località legata alla vittoria nella prima guerra mondiale. L’antica “Porta di Po”, edificata sui disegni del Guarini, era stata abbattuta sotto la dominazione francese. L’attuale via Po sboccava quindi nel “rondò” situato su una piazza alberata che declinava verso il fiume. Ha commentato Marziano Bernardi: “L’attuale piazza, di metri quadrati 34.850 e perciò fra le più vaste di Torino, fu costruita durante il regno di Carlo Felice fra il 1825 e il 1830 su progetto dell’architetto Giuseppe Frizzi, che con il progressivo digradare dell’altezza delle case seppe dissimulare la pendenza del terreno, su circa sette metri dal termine della via alla testa del ponte. Poiché per questo ponte, che aveva ancora dei parapetti provvisori di frasche intrecciate, Vittorio Emanuele I, dopo la Restaurazione, era rientrato nella sua capitale nel 1814, secondo il primo progetto d’ingrandimento di questa zona della città, la piazza avrebbe dovuto intitolarsi “Alla Venuta del Re”. Le venne poi dato il nome di “Vittorio Emanuele I”. Titolazione, come si è detto, che mutò poi in Vittorio Veneto”. Piazza ricca di sorprese, ispiratrice di aneddoti e di spigolature storiche. Un pilastro all’altezza del numero civico 12, ricorda l’astronomo Giovanni Plana, che qui morì nel 1864. Un’altra lapide sistemata più in alto, fra due finestre, al numero 23, vuole ricordare il soggiorno a Torino di Giovanni Prati, poeta romantico-risorgimentale. La piazza è stata per molti anni la sede centrale dei grandi carnevali di Torino con la partecipazione di Gianduja, in onore del quale erano allestite le cosiddette “Giandujeidi”. Storica, fra tutte, quella del 1886 che vide a Torino il Terzo Congresso delle Maschere italiane. Il carnevale - come le giostre, i padiglioni, i cortei mascherati - venne poi trasferito altrove quando si diede alla piazza, alla fine degli anni Ottanta, un nuovo assetto, preoccupandosi di curare e di mantenere un arredo urbano omogeneo che ne valorizzasse l’architettura. Interessante, per molti che amano la Torino Sotterranea, il “sottopalco”, ossia il grandioso sotterraneo della piazza, che non è tuttavia aperto al pubblico, utilizzato come deposito, per lunghi anni, di spartineve e di carrettini che il Comune usava per il trasporto della neve tolta dalle strade vicine. Nella piazza, per parecchio tempo, si è anche avuta l’accensione del falò (o farò) nella festa patronale di San Giovanni, poi trasferita in altre località. Memorabili i falò di piazza Castello. Non si è comunque perduta la tradizione dei fuochi artificiali che vengono accesi nel tratto lungo Po, considerando lo spazio aperto che ci si trova dinnanzi e lo scenario collinare. Sotto i negozi della piazza si aprono caffè storici, negozi antichi e moderni, gallerie d’arte. Articolo tratto da “Le piazze di Torino” di Renzo Rossotti (Newton & Compton Editori, 2001, Roma), che ha lasciato a Somewhere il suo prezioso archivio come eredità culturale.

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